La Scuola di Medicina ha storicamente rappresentato all’interno del mondo accademico uno dei fiori all’occhiello, capace di concedere prestigio e dignità scientifica. Nell’epoca del depauperamento numerico della classe medica e delle professioni sanitarie cui stiamo assistendo nel nostro paese, molti hanno pensato che la espansione del numero di iscritti nei corsi di laurea a ciclo unico di Medicina e Chirurgia potesse essere la soluzione al problema della mancanza di professionisti. Il problema è reale ed esiste in maniera diffusa su tutto il territorio nazionale, ma va precisato immediatamente come la carenza non sia di laureati ma di specialisti, perché solo questi ultimi sono abilitati e legittimati a partecipare ai concorsi pubblici per poter lavorare con la massima autonomia e completezza all’interno del Servizio Sanitario Nazionale. Le deroghe attuate negli ultimi anni che hanno permesso agli specializzandi di partecipare ai concorsi pubblici sono un evento eccezionale che ha pregiudicato la completa formazione dei giovani medici e nel contempo ha potenzialmente creato una riduzione della qualità assistenziale qualora gli specializzandi non fossero coadiuvati da un tutor esperto.
La necessità di formare un numero sempre maggiore di medici ha contestualmente portato a un’espansione delle scuole di medicina, di cui Trento rappresenta una delle più giovani. A questo punto vanno fatte le opportune riflessioni sulla genesi della scuola e sulle prospettive, analizzando soprattutto come lo scontro istituzionale fra il governo provinciale e l’elite accademica trentina lasci trasparire una reale confusione di intenti e di potere.
La politica ha voluto la gloria, il corretto riconoscimento di una pietra epocale, di voler passare alla storia perché i “posteri” possano riconoscere i meriti di chi ha governato nel quinquennio 2018-2023 sotto la regia di figure occulte che mai si sono esposte a riguardo. Hanno motivato la fondazione dopo una lunga diatriba (indipendenza o colonialismo accademico veneto) come la necessità di sopperire alla mancanza di personale per l’Azienda Sanitaria, il cui rappresentante politico e legale sbandiera ai quattro venti come la reale soluzione dell’annoso problema, guardando in maniera miopica sempre il proprio orticello e mai con una visione di insieme di un problema che è sovraprovinciale.
Sarebbe stata possibile una intesa con la provincia autonoma di Bolzano utilizzando l’autonomia nel senso specifico del termine e ampliando, come poi Bolzano ha fatto, gli orizzonti verso atenei che avessero un respiro e una importanza internazionale. La decisione di procedere in maniera autonoma e non collaborativa, ancora una volta ha rafforzato il concetto di vuoto esistente nell’amministrazione provinciale che interpreta a proprio piacimento il concetto e gli ideali autonomisti. La diatriba era stata già sollevata qualche mese fa proponendo una joint venture che potesse sfruttare la peculiarità del territorio regionale e rappresentare una testa di ponte verso l’Europa, al fine di poter affrontare la sfida con gli atenei storici del nord Italia. L’ex rettore Collini aveva proposto l’idea dell’Euregio con una scuola integrata Trento-Bolzano con partner Innsbruck e Verona, con corsi anche in lingua tedesca. Le difficoltà comunicative e la sudditanza psicologica della giunta leghista agli atenei lombardo veneti hanno implicitamente obbligato la Giunta Provinciale di Bolzano all’accordo con l’Università Cattolica senza rapporti con l’Università di Trento sita a soli 50 km di distanza. La creazione di una scuola di formazione appetibile con valori sovranazionali ha già fallito. Il rifiuto di Bolzano e dell’Euregio ha creato le basi per una dimensione limitata e priva di prospettive, visto che l’Italia significa Europa sia nel suo concetto politico che geografico.
Un progetto di così grande importanza deve delineare gli obiettivi e declinare nel modo più semplice la adeguata progettazione e pianificazione per il loro raggiungimento: la confusione regna sovrana in una scuola di medicina che risulta avere un “tutor” ufficiale nella Università di Verona, ma che tra risorse, bilanci e delineamento del corpo docente e delle infrastrutture specifiche di sostegno ha una progettualità basata sulla fantasia e sui vincoli contrattuali.Sono ignoti e poco chiari quali siano gli obiettivi prefissati dalla creazione della scuola di medicina di Trento. Se pensiamo alla possibilità di creare forza lavoro per l’azienda sanitaria, la motivazione è già fallita. La modalità di espletamento della selezione nazionale per l’accesso al corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia conduce alla de-regionalizzazione degli studenti. Successivamente i laureati dovranno accedere alle scuole di specialità con una selezione nazionale. Viene immediatamente da chiedersi perché i giovani medici dovrebbero scegliere il Trentino per la loro formazione professionale, essendo questa una neonata università, con scarso blasone, esperienza formativa assente e costo della vita locale enormemente superiore anche alle regioni limitrofe. Senza considerare che pochi giorni fa il rettore parlava di avviare scuole di specializzazione come la Medicina d’Urgenza, che secondo un report di un sindacato della dirigenza medica nell’anno 2022 ha avuto il 55% dei contratti stanziati dal Ministero non assegnati. La lungimiranza è tutto.
Altro aspetto è porsi l’interrogativo per quale motivo romantico e fascinoso gli specialisti dovrebbero poi fermarsi in Trentino, ma questo è un discorso che prolungherebbe l’elenco delle motivazioni fallimentari.
Adesso che il percorso di studi è stato creato non si ravvedono delle reali linee di programmazione e pianificazione. Sono molteplici gli aspetti da chiarire.
Un aspetto fondamentale della qualità di una sede universitaria è dato dalla qualità della didattica e della ricerca che vi si svolgono e quindi dalla qualità dei docenti e dei ricercatori che vi lavorano: il personale reclutato fino a questo momento, se si fa eccezione per pochi casi, ha una età avanzata con programmazione inferiore ai cinque anni, risulta già incardinato nell’ambito della azienda sanitaria oppure viene dalla lottizzazione veronese. Risulta strano come a quasi tutte le selezioni abbiano partecipato singoli candidati, secondo una logica poco apprezzabile sotto un punto di vista qualitativo celando così il sospetto di un “poltronificio”. Nasce spontaneo chiedersi quale appeal possa avere una giovane scuola di medicina che si basi sulla mediocrità del corpo docente selezionato perché facente parte di seconde linee di altri atenei o per una promozione di Direttori ospedalieri imposti dalla politica locale o dall’azienda sanitaria stessa. Allo stato attuale le selezioni svolte hanno dimostrato come la Scuola di Trento sia una succursale di altre università con parziale o assente autonomia di decidere chi assumere. Quale percorso o esperienza accademica hanno avuto i Direttori ultrasessantenni promossi al ruolo di docente universitario? Quale formazione potranno garantire agli studenti?
La visione opaca della politica ha portato anche all’inadeguato stanziamento delle risorse necessarie. La querelle degli ultimi giorni che ha dimostrato un immediato buco di bilancio nell’ateneo trentino, legato alla scuola di medicina, ha palesato le carenze e la visione crepuscolare della Giunta. Giustificarsi dietro lo slogan “le risorse non sono illimitate” non serve a motivare i buchi di bilancio. La realtà è che la scuola di Medicina sta sottraendo risorse agli altri corsi di laurea, agli altri dipartimenti che rappresentano un’eccellenza a livello internazionale, ai dottorati di ricerca e ai programmi di sviluppo previsti. Questo è il risultato della cattiva gestione e pianificazione economico finanziaria che ha fatto prevalere l’autocelebrazione e il populismo elettorale con la possibilità di arrecare danni strutturali importanti all’intero ateneo.
Un ultimo punto da analizzare va assolutamente riservato alla qualità della sanità che la scuola di medicina può portare. L’esigenza di dare risposte pratiche al territorio rischia di entrare in conflitto con le esigenze di ricerca e di creare ospedali e reparti di serie A e serie B, innescando una conflittualità che già è presente e si cela nelle file dei medici dipendenti di APSS. Il rischio di essere declassati ad attività usuranti, ripetitive e poco qualificanti (gli universitari hanno dei carichi di lavoro assistenziali ridotti) e soprattutto la privazione di una eventuale progressione di carriera da parte dei medici ospedalieri (i professori universitari assumono quasi tutti il ruolo di Direttore di struttura complessa) saranno elementi di una possibile lotta interna tra diverse fazioni che porterà inevitabilmente a un peggioramento della offerta sanitaria.
Sarà compito della giunta provinciale la modulazione attraverso la catena di comando di APSS e del rettorato di assumersi le dovute responsabilità per correggere gli errori fatti e per poter sostenere la logica della qualità e del miglioramento. Diversamente saremo condannati alla mediocrità e alla creazione di un vero e proprio fossato tra l’accademia e la popolazione trentina.