Se, mi è lecito, visto che il tempo non mi manca, avvalendomi dell’esperienza fatta nel mondo della scuola come preside e politicamente come ex assessore provinciale all’istruzione e formazione professionale, mi inserisco nel dibattito in corso relativamente al problema dello “ius scholae”. Mi ha colpito in modo particolare quanto apparso su questo giornale venerdì 23 u.s. Da una parte si legge il pensiero unanime di dirigenti di vari ordini e gradi di scuola che condividono e appoggiano l’iniziativa nazionale di approvare la proposta di legge dello “ius scholae” (diritto alla scuola) a favore dei figli di genitori stranieri e dall’altra il pensiero dell’assessora all’Istruzione Gerosa che dichiara l’argomento un “non tema“. Quindi neanche degno di discussione e quindi si deve lasciare tutto com’è attualmente.
Allora, per chiarezza, vediamo prima, in sintesi, cosa dice la legge vigente sulla cittadinanza per i figli di genitori stranieri. La legge di riferimento è la n.91 del 1992, che si basa sul c.d. “ius sanguinis”, cioè la trasmissione della cittadinanza italiana da genitore a figlio. La legge dice che I figli di cittadini stranieri che nascono in Italia e vi risiedono ininterrottamente fino al compimento della maggiore età possono, entro un anno dal compimento dei 18 anni, dichiarare di voler acquisire la cittadinanza. I tempi burocratici per ottenerla, tuttavia, vanno dai tre ai 4 anni.
Cosa prevede invece la proposta dello “ius scholae”? Eccone il contenuto: l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte del minore straniero che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età è concessa purché questi risieda legalmente in Italia, e abbia frequentato regolarmente, per almeno 5 anni nel territorio nazionale , uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi la scuola primaria, è necessario aver concluso positivamente il corso medesimo”.
Vediamo ora i cambiamenti che ci sarebbero fra la legge vigente e quella in discussione. Allo stato attuale, difatti, benché nati e cresciuti in Italia, i figli di immigrati sono considerati stranieri, per tale ragione, ad essi è preclusa la possibilità di fare cose ed accedere ad attività essenziali per un corretto sviluppo dell’individuo e della sua personalità. I ragazzi, nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da piccolissimi, dipendono fino alla maggiore età dal permesso dei genitori: se il permesso scade e se i genitori perdono il lavoro, loro diventano irregolari. Fino al raggiungimento della maggiore età alcuni ragazzi non possono iscriversi a campionati sportivi in cui esistono limitazioni per i giocatori stranieri. I viaggi all’estero devono essere preceduti dalla verifica della necessità di avere o meno il passaporto italiano o un visto. Se volessero andare all’estero con una borsa di studio per un’esperienza formativa più lunga di 12 mesi, perderebbero automaticamente la carta di soggiorno e dovrebbero intraprendere una lunga e complessa trafila per richiederla. Inoltre questi ragazzi non possono né votare, né candidarsi e nemmeno partecipare a numerosi concorsi pubblici o visite culturali.
Da quanto detto risulta evidente la discriminazione fra studenti con cittadinanza italiana e non. E ciò che stride e stona di più è che questo avvenga proprio nella scuola che ha il compito di educare all’uguaglianza, all’inclusione, all’apertura, alla socialità e alla mondialità. A questo punto mi chiedo e chiedo all’assessora all’Istruzione Gerosa se è proprio vero che lo “ius scholae” non è un tema da affrontare. Capisco la sua difficoltà politica, ma non può nemmeno ignorare cosa dicono e ne pensano gli “addetti ai lavori”, cioè il mondo della scuola. Forse è stata un po’ troppo tempestiva nell’esprimersi. Ho ricoperto anch’io il ruolo che svolge. Non è semplice e facile e proprio per questo l’ascolto è molto importante. Per quanto riguarda l’accostamento agli altri Stati Europei (quanti e quali) che sarebbero più severi di noi, questo è da dimostrare. E , ammesso e non concesso, che fosse anche vero, non sarebbe un merito fare i pionieri nelle cose buone e giuste?
Chiudo, facendo tanti auguri per il bene della scuola all’assessora Gerosa e chiedo scusa se mi sono permesso una correzione solo e puramente fraterna. L’ho fatto solo per il bene che voglio ancora alla scuola e ai suoi utenti, in particolare, in questo caso, ai figli di genitori stranieri.
Luigi Panizza ex Assessore provinciale all’Istruzione e componente “Casa Autonomia E.U.