Che il comparto del turismo costituisca componente essenziale dell’economia trentina è un fatto assolutamente incontestabile. Da sempre luce per le sue imprese, a tratti ombra per le persone impiegate.
A tal proposito vorrei raccontare la storia di una di queste. Sarà esempio pratico per meglio chiarire cosa intendo dire. Ho avuto occasione di conoscere un ragazzo impegnato stagionalmente come cuoco da quando, circa sei anni fa, ha terminato la scuola professionale. Lavora dalle 11 alle 15 ore al giorno, con uno solo di riposo settimanale, tranne in alta stagione o per sostituzioni in caso di malattia di colleghi.
Poche certezze dunque tant’è che fino a pochi giorni prima dell’avvio della stagione non sa se verrà chiamato o meno.
Talvolta, gli è capitato anche dover assolvere al contratto della stagione invernale in part-time pur lavorando per l’intera giornata. Per prassi, il termine dell’assunzione è sempre stato fissato al giorno lavorativo immediatamente successivo all’Epifania. Spesso rinnovato.
Quest’anno invece, la conferma di prosecuzione fatica ad arrivare. E ad incertezza più assoluta si aggiungono prospettive più che sicure, purtroppo beffarde. Le retribuzioni mensili sono di circa 1500 euro, vitto e alloggio compresi. E dove non lo sono, gli affitti sono proibitivi e rendono respingente un lavoro che per 7 mesi tra estate ed inverno offre complessivi 10.500 euro all’anno, nemmeno 13.000 in tutto con tredicesima e licenziamento.
Così ritorniamo ai chiaroscuri di cui sopra. Esaltiamo l’economia di un turismo provinciale di grande impatto diretto e indiretto che sia, ma ci meravigliamo all’ascolto di narrazioni di giovani che non accettano di lavorare, ai quali però si chiede resilienza. E che stupore al racconto di lavoratori solo in minima parte italiani ai quali basta un reddito di cittadinanza o un’indennità di disoccupazione perché in fondo se scelgono il lavoro stagionale “sono fatti loro”?
La vita da stagionali impatta sulla quotidianità in maniera totalitaria. Eppure non è il solo scoglio che un giovane deve superare. Scarse disponibilità economiche per una vita dignitosa, con una famiglia, una dimora, un mezzo di trasporto, tolgono sonno e tranquillità ad intere generazioni. Specialmente quelle in uscita dalle scuole professionali che hanno voglia e bisogno di imparare ancora tanto ma non intendono affatto dipendere dall’indennità di disoccupazione. La loro dignità è altro.
Siamo consapevoli che il costo del personale grava pesantemente sui bilanci delle imprese. Tuttavia si comprenda che lo stipendio che le imprese riescono a corrispondere finisce per diventare motore delle insoddisfazioni di cui sopra. E non solo.
Così, a compensare il gap salariale finiscono per doverci spesso pensare le famiglie. Sulle quali questi giovani adulti si trovano a pesare.
Potrete condividere che si tratta di una condizione irrispettosa verso se stessi e inaccettabile come prospettiva di vita. Dovranno sostenere le criticità e l’instabilità personale, come diretta conseguenza di quella sociale-economica.
Pensateci: sono indispensabili in alta stagione, ma vivono nell’incertezza in bassa stagione e finiscono reietti e senza ruoli sociali attivi fuori stagione. Vi immaginate il malessere per chi voglia davvero contare sul proprio futuro, su una propria famiglia?
Il Trentino investe con importante sostegno pubblico al comparto turistico. Strutture, infrastrutture, incentivi e promozione, ce n’è per tutti, molto meno in via diretta ai suoi dipendenti. Sappiamo che tutto è governato dalle norme ma il “Dura lex sed lex” non può bastare. Il Trentino che vogliamo dovrà trovare una soluzione anche per le tribolazioni delle giovani persone delle quali abbiamo raccontato sopra.