Cosa si è fatto negli anni
Di integrazione socio sanitaria se ne parla almeno da 15 anni in particolare da quando si è definitivamente attribuita all’ospedale la gestione dei pazienti acuti e al territorio la funzione per la gestione delle patologie croniche e della prevenzione.
Qualche bel progetto nel Sistema Sanitario Provinciale è stato fatto in questi anni: ricordo per esempio la figura del Coordinatore di Percorso, i protocolli di integrazioni tra i servizi sociali delle Comunità di Valle e gli Ospedale e da ultimo l’istituzione, nella precedente riforma sanitaria, dei cosiddetti “integratori”. Tutto perfettibile, tutto migliorabile ma dopo la pandemia probabilmente tutto da rivedere partendo ovviamente dall’esperienza pregressa ( non si butta mai via tutto) e dalle nuove necessità.
Il significato di integrazione socio-sanitaria
La crucialità dell’integrazione socio-sanitaria nel significato stretto della parola, sta nelle due attività che se considerate e praticate isolatamente rischiano di non raggiungere il proprio fine specifico. Le difficoltà incontrate sono principalmente legate alle tante sfaccettature di ciò che rappresentano le due parole ( campo professionale, gestionale, coinvolgimento di più enti e organizzazioni). La vera integrazione acquista spessore quando si riuscirà a sviluppare un’autentica integrazione comunitaria dentro la quale collaborano l’azienda sanitaria, in rappresentanza degli ospedali e dei distretti, la Medicina Territoriale, i servizi sociali, Il Terzo settore. Inoltre dentro la cornice dell’integrazione è necessario definire i livelli essenziali sia in campo sanitario ( implementarli) sia in campo sociale (definirli).
La crisi pandemica ha consentito di riproporre il tema dell’integrazione socio-sanitaria per assicurare il massimo livello di assistenza domiciliare, per garantire la gestione dei pazienti cronici, per attuare forme di prevenzione e di riabilitazione. La piena integrazione si può inoltre ottenere riducendo gli squilibri territoriali, attuando concrete Casa della Salute assicurando uniformità territoriale e presa in carico della persona bisognosa.
- Nella prospettiva descritta di integrazione socio-sanitaria la riorganizzazione sanitaria trentina non può non tenere in considerazione che nella casa della salute è fondamentale la presenza dell’assistente sociale che va ad integrarsi nel team multidisciplinare insieme ai Medici di Medicina Generale e ai Pediatri di libera scelta, ai medici specialisti, agli infermieri di comunità e agli altri professionisti della salute. Solo così un PUA potrà valutare e prendersi in carico il bisogno sia a monte che a valle.
- E’ importante assegnare, valorizzare il luogo istituzionale deputato a garantire l’integrazione tra i servizi e la continuità assistenziale individuabile nel Distretto Socio Sanitario che purtroppo la riforma ha ridotto di numerosità passando da 4 a 3 anziché a 6 come previsto dal decreto ministeriale numero 70.
- Fondamentale il rapporto con i professionisti da coinvolgere nel percorso di integrazione socio-sanitaria e nella progettazione della Casa della salute.
Da Roma a Trento
A Livello nazionale il Presidente Draghi ha fortemente voluto che vi sia una volontà politica e istituzionale per attuare gli strumenti previsti per raggiungere il massimo livello di integrazione socio sanitaria ( DM n°70 e 71) a livello locale non si hanno segnali di tale volontà. Ad oggi l’unica decisione presa dalla Giunta provinciale è stata quella di individuare i 10 siti per le future case della salute. Non uno straccio di canovaccio, di regolamento,di intenti politici che ci lascino almeno l’illusione che quelle Case della salute possano essere i veri laboratori di una fondamentale integrazione socio-sanitaria.
Concludo, aspettando il 2026 (termine ultimo per la costruzione della Casa della salute) passando dal 2023 portando il mio contributo di idee, disponibilità e diffusione di politiche attente alla salute del cittadino.